venerdì 5 giugno 2009

COSA TI HA FATTO DIVENTARE GRANDE?


La vita non è altro che un ciclo...tutti gli esseriviventi (piante, animali) ne hanno uno! E così è anche per noi esseri umani....diventiamo grandi o meglio, adulti, quando camminiamo con le nostre gambe, lasciamo il nido, siamo autonomi...non è una cosa brutta..è una grande
conquista. Siamo finalmente uomini e donne, pronti per vivere la nostra vita.
Una volta era chiaro cosa significava diventare grandi, molto di più di oggi, c'erano dei riti di passaggio: prima eri bambino o ragazzo, dopo eri adulto...e diventare grande
significava aver superato una prova importantissima. Si acquisiva cioè, una responsabilità che era anche una nuova libertà, che dovevi saper gestire con molta
attenzione se non volevi esserne travolto. La libertà dell'adulto è radicalmente diversa da quella del bambino: il bambino è libero di sognare, ma non è libero di agire, l'adulto deve saper scegliere come agire, consapevole della responsabilità che ogni agire comporta...e pensando
a come farlo per il meglio, tante volte non sogna più. Ma c'e sempre un evento o qualcuno o qualcosa che ti aiuta a farti DIVENTARE GRANDE... E a voi? cosa vi ha fatto diventare grandi? postate su questo blog i vostri pensieri...

6 commenti:

ANDREA DE ROSA ha detto...

L'idea di questo film mi è venuta circa cinque anni fà...ma non ero ancora "DIVENTATO GRANDE" io...Una volta attraversate le fasi che mi hanno fatto diventare un pò più maturo, ho iniziato a scrivere, avvalendomi dell'aiuto del mio amico Renato Solpietro.
Per entrare più nello specifico, inauguro volentieri questo blog, raccontando uno dei miei periodi di transizione...già, uno dei tanti, perchè, come diceva il grande "Eduardo": GLI ESAMI NON FINISCONO MAI.
P.S. Ovviamente la storia è mia personale e non quella del protagonista del film.

ANDREA DE ROSA ha detto...

E’ un po’ lunga…quindi la scrivo a rate

“Avevo diciassette anni e frequentavo già la scuola di “Acting” (recitazione cinematografica) nel minuscolo Teatro Dei Contrari, in via Ostilia, dietro il Colosseo...il primo luogo dove capire bene cos’era quella strana passione che mi portavo appresso da bambino, il primo luogo dove confrontare la mia passione con quella di altre persone, il primo luogo dove capire se era solo un capriccio o invece… vocazione.
Già…perché è questo che ho sempre voluto fare: l’attore…possibilmente di cinema…magari di commedia. Ma avevo tanti dubbi e incertezze.
Il primo problema era la timidezza, una sottile barriera di vetro tra me e un ipotetico pubblico, in quel caso molto ristretto…15-20 ragazzi: erano gli altri compagni di corso. Loro facevano le scene, io preferivo guardarli e imparare dai loro errori e dai loro pregi…sedevo sempre nell’ultima fila… e così avrei fatto finchè non mi sarei sentito pronto per scalare di posto sempre più avanti, fino a propormi per fare la scena del giorno.
Nel frattempo è arrivato questo volantino a casa: lezioni individuali di cabaret due volte a settimana con Antonello Liegi, un cabarettista romano che ebbe una buona popolarità televisiva negli anni ottanta e la prima metà dei novanta, per poi tornare in locali e teatri, ma soprattutto nel posto in cui era nato artisticamente, il tempio dei migliori comici romani: il Teatro Alfellini, forse la vera scuola dei cabarettisti della capitale.
Mi sono detto: in fondo i miei attori preferiti di cinema hanno iniziato tutti dal cabaret…tanto che ho da perdere…è sempre un’esperienza in più. E così ho iniziato…
Antonello mi faceva entrare nel salottino di casa sua e ci mettevamo seduti a terra. All’inizio mi metteva un po’ di soggezione: apparentemente austero, spalle larghe e aria da romano di una volta, come non ce ne sono più. Mi spiegò subito che l’ironia, l’umorismo, il clownesco, ecc…sono tutte cose interne, quindi diverse per ognuno di noi.
In pratica, non avrebbe potuto insegnarmi la sua comicità, ma aiutarmi a tirar fuori quella mia, cominciando magari ad abbozzare dei testi insieme per poi lavorare sull’interpretazione.
Lo spiazzai. Perché i testi già me li scrivevo da solo. Gli lessi il primo: una presa in giro agli spot pubblicitari più assurdi che giravano in televisione. Leggevo cercando di interpretare un po’ quello che avevo scritto…lui mi ascoltava attento, serio e impassibile…ma ad una delle ultime battute che facevo sulla pubblicità di “Mastrolindo” gli scappò un sorriso. Per me era già una soddisfazione. Si complimentò e si sciolse subito. Mi fece capire che scrivendomi i testi da solo, un bel po’ del suo lavoro era abbreviato. Alla fine, quelle lezioni si tramutavano in vere e proprie chiacchierate. Aveva trovato il metodo che mi andava più a genio. Così mi aiutò a perfezionare i miei testi e mi diede lo spunto per scriverne degli altri…e intanto mi raccontava le sue esperienze di vita all’interno del famoso mondo dello spettacolo: com’era visto da dentro, gli aneddoti, le curiosità, i vizi e le virtù dei personaggi con cui aveva avuto a che fare…e infine “l’immondizia” che avrei potuto incontrare lungo il mio cammino.
TO BE CONTINUED...

ANDREA DE ROSA ha detto...

Alla fine delle lezioni, era arrivato il momento di farmi fare la prova col pubblico. Questa avvenne in un locale dietro Largo Argentina, nel cuore di Roma: “Anticaja e Petrella”, uno spazio formato da due piccoli tunnel; nel primo c’erano solo mobili di antiquariato (tavoli, vecchie scrivanie, comodini, sedie ecc…) e in fondo a questo, svoltando a sinistra, iniziava un altro tunnel, quello del classico locale di cabaret…bancone delle bevande sulla sinistra, vecchi tavoli di legno …e in fondo un palchetto per l’esibizione. Ci sono certi posti al centro di Roma che ti catapultano completamente nel passato, come una macchina del tempo. Perché hanno le stesse vecchie insegne, le stesse mura, gli stessi tavoli, le stesse sedie, le stesse facce di tanti anni fa (quei personaggi dalla romanità e il modo di fare arcaici, perfetti per un film di Pietro Germi, o per fare i caratteristi nei film di Verdone-prima maniera) e gli stessi odori…ti sembra di annusare la storia. “Anticaja e Petrella” era uno di quelli. Oltretutto mi raccontavano che alcuni fra i più grandi cantanti italiani si erano esibiti su quel palco circa trent’anni prima. Fra gli altri, Renato Zero e Patty Pravo.
Avevo invitato anche mio padre, mia madre, mio fratello di undici anni, mio nonno e mia nonna. Bisognava dare il tempo a tutti i clienti di finire la cena e poi…inizio alle danze! Antonello sarebbe salito sul palco (vabbè… palchetto), avrebbe scaldato il pubblico per cinque minuti, mi avrebbe presentato, io avrei fatto il mio monologhetto di venti minuti, e poi per una buona mezz’ora ancora Antonello. Era la sera del debutto!...del mio debutto!... peccato che c’erano venti persone, compresi i miei. Aspettammo una mezzoretta nella speranza di qualche cambiamento…che infatti arrivò: una coppia, finito di mangiare, si alzò e se ne andò… - “Vabbè…Antonè…me sa che è meglio se iniziamo và…”.
Antonello mi presentò e salii molto emozionato sul…palchetto…agguantai il microfono e cominciai con un timidissimo “Buonasera…”, ma le facce che avevo davanti erano sorridenti…e così presi coraggio e feci il mio pezzo: risero abbastanza e mi applaudirono tre o quattro volte. Per me era una vittoria. Avevo fatto ridere ed ero piaciuto, seppur a poche persone… ma fra quelle poche persone c’erano anche i miei cari.

ANDREA DE ROSA ha detto...

Antonello organizzò presto la mia seconda uscita: stavolta nel giardino del Teatro Alfellini, accanto a quel grande tendone di via Galvani, che sarebbe stato abbattuto di lì a due anni.
Avevo di nuovo avvertito i miei genitori e loro avevano pensato bene di chiamare una coppia di zii e un’altra di amici. Una premessa che Antonello mi aveva già fatto due o tre volte era che “la seconda volta è sempre minore rispetto alla prima”. Io, dal canto mio, avevo deciso di non ripetere lo stesso pezzo di pochi giorni prima, ma di farne uno totalmente nuovo…più che per la voglia di rischiare, ero annoiato all’idea di rifare un pezzo che avevo già fatto, anche se visto solo da venti persone.
Stavolta erano una quarantina. Ero più emozionato della prima sera… ma finalmente arrivò il momento: i soliti cinque minuti di Antonello per scaldare il pubblico, poi io…e poi di nuovo lui… che stavolta, dopo le prime battute di riscaldamento, fece una premessa un po’ particolare:
“Signori… io vi sto per presentare un ragazzo…è simpatico…è un bravo ragazzo…il padre di mestiere, fà il geometra… vorrebbe che il figlio facesse il suo stesso mestiere…ma per lui, le case possono essere costruite anche per aria…non gliene po’ fregà de meno…lui vuole fare il comico!...Però vi faccio una premessa: al tavolo dei suoi parenti rideranno a crepapelle e applaudiranno … a voi chiedo una cosa: siate onesti con lui…(pausa breve) ecco a voi Andrea…”. Salii sul palco con una domanda che mi rimbalzava in mente: “Ma che cazzo di presentazione m’ ha fatto?!”…Come se niente fosse, feci il mio pezzo. Non rise nessuno. Sconfortante al massimo... e in più c’era una signora proprio davanti a me… che mi fissava studiandomi senza ascoltarmi; ovviamente lei, come tutti gli altri, erano stati influenzati dalla premessa di Antonello. La cosa che mi stupì di più, però, fù la mia insistenza e costanza nel fare il monologo. Mi è sempre piaciuta l’idea di far ridere il pubblico…in quel caso cominciavo a provare piacere nel fare l’opposto: rompere i coglioni a quelli che mi avevano giudicato ancora prima di ascoltarmi! Ora sono qui e mi ascoltate fino alla fine!...
Al termine dei miei “venti minuti” sul palco, con l’applauso finale (almeno quello…) tornai a sedere al tavolo con i miei parenti e i loro amici…Antonello fece il suo pezzo, che andò, a differenza mia, parecchio bene: risate di continuo e applausi.
Una serata come quella, ad un ragazzino sensibile, alle prime armi nel mondo del cabaret (come ero io), avrebbe tranquillamente influito in modo da fargli cambiare idee e progetti per il futuro…e invece il giorno dopo, avevo dentro di me una strana sensazione di positività che mi spingeva ad andare avanti. Ma era arrivata l’estate e, pochi mesi prima, i miei diciotto anni… Ho pensato: facciamoci le vacanze… e poi proviamo a ricominciare.
TO BE CONTINUED...

Azteca Produzioni Cinematografiche ha detto...

sacrosante parole!

ANDREA DE ROSA ha detto...

Ripartii a settembre. Tante telefonate a vari locali della capitale: “Sono un cabarettista emergente…potrei provare un pezzo da voi?”…
La nuova tappa si chiamava “Circolo vizioso” e si trovava nel quartiere San Lorenzo, vicino la Stazione Termini. Stavolta si faceva il “laboratorio”, che non era altro che un punto di ritrovo di cabarettisti, emergenti o affermati, che provavano i loro pezzi nuovi davanti al pubblico, per valutarne l’efficacia. La capienza del locale era di duecento persone.
Ecco, da qui è un po’ più semplice spiegare: mi sono buttato…e mi è andata bene.
Mi ero scritto dei pezzi nuovi…e funzionavano…e quello che notavo sempre di più, di serata in serata, era che crearmi dei personaggi, oppure un “tormentone”, come è sempre più usuale fra tanti comici in tv, a me non interessava minimamente. Volevo far ridere con quello che pensavo io, svelando in maniera ironica il mio punto di vista…sui vizi, i difetti e le virtù della mia generazione, sulle mode e le stranezze del quotidiano, sui personaggi dello spettacolo e i tanti programmi televisivi imperanti.
E così proseguii e accumulai sempre più esperienze nei vari locali e teatri off di Roma e dintorni…per circa due anni…prima di realizzare il sogno di entrare nel cinema. Ah…dimenticavo…poco tempo prima di fare il primo film, partecipavo al laboratorio “Cabarettiamoci” presso il Teatro A.C. Stage. Durante una di quelle serate, un cabarettista mi avverte della presenza in sala del suo maestro… che neanche troppo tempo prima era stato il mio: Antonello. Quando arrivò il mio turno, salii sul palco ancora più carico: i miei “dieci minuti” andarono benissimo. Tante risate e un bell’ applauso sul finale…ma quello che applaudiva più di tutti, a mani tese in alto, in prima fila, era proprio Antonello… Lì forse capii il perché di quella famosa “presentazione”.